28.1.11

IL DISCORSO DEL RE

Orario del film in programmazione
Sabato 12, Domenica 13: ore 16.30 - 18.30 - 21.30
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REGIA  di Tom Hooper
INTERPRETI: Colin Firth, Geoffrey Rush, Helena Bonham Carter, Guy Pearce, Jennifer Ehle.
Gran Bretagna, Australia 2010
12 Nomination agli Academy Awards  2011.
Golden Globe a Colin Firth come miglior attore.

TRAMA:
Giorgio VI d'Inghilterra - incoronato Re dopo l'abdicazione del fratello Edoardo VIII per amore della bella Wallis Simpson - si considera inadatto a guidare il Paese, soprattutto a causa di una balbuzie nervosa che lo affligge. Per riuscire a superare il suo handicap, il Re si affida alle cure del terapista Lionel Logue, i cui metodi poco ortodossi riusciranno a restituirgli la voce e il carisma facendogli superare le sue paure e il suo limite.
DURATA: 110 minuti



CRITICA:
Il regista britannico si concentra sul vissuto interno del protagonista, rivelando le conseguenze emotive del disagio nel parlato ai tempi della radio e in assenza del visivo. Il discorso del re non si limita però a drammatizzare la stagione di vita più rilevante del nobile York e relaziona un profilo biografico di verità con un contesto storico drammatico e dentro l'Europa dei totalitarismi, prossima alle intemperanze strumentali e propagandistiche di Adolf Hitler. Non sfugge al re sensibile di Colin Firth e alla regia colta di Hooper l'abile oratoria del Führer, che intuì precocemente le strategie di negoziazione tra ascoltatore e (s)oggetto sonoro, il primo impegnato nel tentativo di ricostruire l'immagine della voce priva di corpo, il secondo istituendo un rapporto di credibilità se non addirittura di fede con la voce dall'altoparlante.
Se il mondo precipitava nell'abisso non era tempo di guardare al mondo con paura, soprattutto per un sovrano. Bertie, incoronato Giorgio VI, doveva ricucire dentro di sé il filo interrotto della relazione con l'altro, affrontando il suo popolo dietro al microfono e l'immaginario radiofonico. Fu un illuminato e poco allineato logopedista australiano a correggere il “mal di voce” di un re che voleva imporsi al silenzio. Lionel Logue sostituì col metodo il protocollo di corte, educando la balbuzie del suo blasonato allievo e incoraggiandolo a costruire la propria autostima, a riprendere il controllo della propria vita e a vincere prima la guerra con le parole e poi quella con le potenze dell'Asse.
A guadagnare la fluenza e a prendersi la parola è il ‘regale' protagonista di Colin Firth, impeccabile nell'articolare legato, solenne nella riproposta plastico-fisica del suo sovrano e appropriato nell'interpretazione di un re che ‘ingessa' emozioni e corporeità nel rispetto rigoroso della disciplina. Dietro al ‘re' c'è l'incanto eccentrico di Geoffrey Rush, portatore di una “luccicanza” che brilla, rivelando la bellezza della musica (Shine) o quella di un uomo finalmente libero dalla paura di comunicare. Lunga vita al re (e al suo garbato precettore dell'eloquio)
Marzia Gandolfi, Mymovies.it



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21.1.11

LA DONNA CHE CANTA

Orario settimanale del film in programmazione
Mercoledi, Giovedi, Venerdi: ore 21.30
Sabato, Domenica e Festivi: ore 16.30 - 19.00 - 21.30
Attenzione pomeridiano inizio ore 19.00
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REGIA di Denis Villeneuve
INTERPRETI: Lubna Azabal, Mélissa Désormeaux-Poulin, Maxim Gaudette, Remy Girard, Abdelghafour Elaaziz.
Nazionalita'  Canada  anno 2010
TRAMA:
Il film racconta la storia di una donna libanese che, in punto di morte, affida due lettere ai suoi due figli gemelli, una da consegnare al padre che non hanno mai conosciuto e l'altra ad un fratello che non sapevano di avere. Questa ricerca diventa un viaggio senza protezione e senza compromessi nelle atrocità della guerra del Libano.  

DURATA: 130 minuti



CRITICA:
Ancora i Radiohead in un film al Lido dopo la colonna sonora del loro bassista Johnny Greenwood per 'Norvegian Wood'. Ancora la guerra in Medio Oriente vista dal punto di vista di una donna come in 'Miral'di Schnabel. Eppure 'Incendies' di Danis Villeneuve (Giornata degli Autori) è superiore rispetto ai titoli citati. (...) Finale con devastante colpo di scena che rimane nella testa, per sempre. Che ci fa un filmone così fuori dal Concorso?
Francesco Alò, 'Il Messaggero', 4 settembre 2010

Un’equazione o forse un teorema matematico, preciso, implacabile, affascinante e inevitabile. È questa la sensazione che dà la visione de La donna che canta di Denis Villeneuve (canadese francofono del Quebec), vera grande sorpresa al Festival di Venezia che conferma la crescita di un autore che con Polytechnique (da noi inedito) si era dimostrato un talento interessante. Il film è l’adattamento di una pièce di successo di Wajdi Mouawad.
Siamo ai giorni nostri in Canada. Fratello e sorella (gemelli) scoprono dal testamento della madre che il padre che credevano morto è in realtà vivo e dell’esistenza di un fratello di cui non sapevano nulla. La madre, di origine mediorientale, ha infatti vissuto una vita incredibile, tragica, di cui andranno alla scoperta e che noi conosceremo attraverso un viaggio parallelo, lei negli anni ’80 e la figlia al giorno d’oggi (che non casualmente è ricercatrice di matematica pura). Percorreranno i medesimi luoghi, le stesse strade, in un ciclo infinito che è quello della storia e della famiglia, di pietre e terre sempre uguali, illuminate dallo stesso sole, ma bagnate da sangue sempre nuovo.
L’infanzia segna, qui addirittura marchia, in maniera talmente forte che, per dirla con la protagonista, “è un coltello piantato alla gola”. Ci vorrà una vita intera (e una volontà testamentaria) per diventare veramente adulta, per cancellare la rabbia di un’infanzia di violenza e poter riposare in pace.
Nel film dietro un nome finto si nasconde il Libano degli anni ’80 con la sua guerra civile fra cristiani e musulmani. Attraverso le vicende di una famiglia riesce molto bene a rappresentare la divisione religiosa, familiare, di una terra e di un mondo.
La donna che canta è un film che riesce mirabilmente a coniugare un ritmo matematico, con delle esplosioni, degli incendi di violenza, che arrivano quasi inevitabili, riuscendo ad emozionarci mentre ci lasciano impietriti. Come ad esempio nel momento più bello del film, una scena in cui un autobus viene fermato dai cristiani falangisti libanesi alla caccia di musulmani. Una scena, che non vi sveliamo, ma che è un’ottima sintesi dei pregi de La donna che canta, uno dei migliori film degli ultimi mesi.
Una nota di merito per la colonna sonora funzionale e per le due donne protagoniste (Lubna Azabal e Mélissa Désormeaux-Poulin) che sono intense e fragili nei loro complessi ruoli.
Il film, denso di eventi ed avventure, giunge verso una fine in cui le incognite dell’equazione iniziano a chiarirsi, in cui la madre non sarà più una variabile sconosciuta, in cui una catarsi inaccettabile, ma alla fine inevitabile, rimane impressa nella memoria insieme a molte tappe di questo magnifico viaggio.
Mauro Donzelli comingsoon.it 19/01/2011



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Sette giorni....

Sette giorni di mobilitazione per salvare l’informazione, lo spettacolo, la scuola, l’università e la ricerca.
Una settimana di mobilitazione, a Roma dal 24 al 29 gennaio, per convincere il Parlamento a fermare la devastazione che si sta compiendo ai danni del comparto culturale italiano.

Roma, 19/1/2011 - Questa la richiesta del Comitato per la Libertà e il Diritto all’Informazione e alla Cultura  che è stata presentata oggi in una  Conferenza Stampa tenutasi  presso la sede della FNSI.
Con grande forza e drammaticità è stato chiesto al Parlamento di ristabilire gli stanziamenti previsti nella Legge di Stabilità per l’editoria, di riportare il FUS almeno al livello del 2008 e di stabilire le gevolazioni fiscali per il cinema, in modo compatibile con il ciclo produttivo del settore.
Al di là delle diverse opinioni sul ruolo della cultura e dell’informazione in una società civile e democratica, è pura miopia politica non vedere che i sostegni a tali settori  sono in grado di produrre ricchezza e occupazione con moltiplicatori che arrivano fino a venti volte l’investi mento. Per portare fuori dalla crisi queste realtà, non di tagli si deve che non producono risparmi ma perdita di ricchezza e disoccupazione (il solo settore della stampa perderebbe 90 testate e 4000 posti di lavoro),  ma di investimenti, per di più modesti, capaci di generare ricchezza per il Paese oltre che a garantire il pluralismo dell’informazione  e la narrazione identitaria. il ritardo dell’Italia nei confronti dei partner europei dipende dalla priorità che gli stessi assegnano (contrariamente a quanto noi facciamo) alla cultura ed alla ricerca che rappresentano  le condizioni ineliminabili per produrre innovazione e creatività dentro e fuori del mondo produttivo.

http://www.fnsi.it/Esterne/Pag_vedinews.asp?AKey=12741

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14.1.11

KILL ME PLEASE

Orario settimanale del film in programmazione
Mercoledi, Giovedi, Venerdi: ore 21.30
Sabato, Domenica e Festivi: ore 16.30 - 18.30 - 21.30
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REGIA diOlias Barco
INTERPRETI: Aurélien Recoing, Virgile Bramly, Daniel Cohen, Virginie Efira, Bouli Lanners.
Nazionalita'  Belgio, Francia  anno 2010
TRAMA: Medico all'avanguardia, il Dr. Kruger (Aurelien Recoing) vuole dare un senso al suicidio.
Il suo sogno è creare una struttura terapeutica dove darsi la morte non sia più considerata una disgrazia, ma un atto consapevole svolto con assistenza medica. La sua clinica esclusiva richiama l'attenzione di un gruppo di strani personaggi, accomunati dal desiderio di morire: un famoso comico con un cancro incurabile, un commesso viaggiatore che cela sordidi segreti, un ricco erede lussemburghese, una bella ragazza con manie autolesioniste, un vecchio cabarettista berlinese dalla voce rovinata e un uomo che ha perso tutto nel gioco d'azzardo, moglie compresa.
Commedia in bianco e nero, nerissima e irresistibile, grottesca e scorrettissima.
Il primo titolo doveva essere Dignitas, che è il nome reale dell'associazione svizzera per l'eutanasia assistita.
Premio della Giuria, premio Agiscuola, premio Critica online alla V edizione del Festival Internazionale del Film di Roma  
DURATA: 95 minuti



CRITICA:
Trionfano lo humour scorretto, il gusto del paradosso, la sfida di scegliere un tema controverso per eccellenza: è il film belga Kill me please di Olias Barco, commedia dark in bianco e nero su una clinica dei suicidi, a vincere il Marc'Aurelio d'oro di questo festival numero cinque. A decretarlo è la giuria internazionale presieduta da Sergio Castellitto.
Claudia Morgoglione, La Repubblica 5/11/10

A Roma vince l'umorismo nerissimo e irriverente di "Kill me please", la black comedy sull’eutanasia di Olias Barco, che al festival ha convinto proprio tutti. «È un film per divertire ma anche per parlare della grande questione della morte - dice il transessuale Zazie de Paris». «In genere- aggiunge Zazie- si parla di eutanasia solo pensando ai casi di malattie incurabili, qui invece c’è una prospettiva molto più controversa e personale». Kill me please, spiega , che in giovinezza è stato un ballerino dell’Opera di Paris e negli ultimi anni ha lavorato molto in teatro a Berlino «ha un’anima nera. Si può ridere molto in una scena e in quella dopo ritrovarsi in un’atmosfera fin troppo dark».
La Stampa 5/11/


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